Razionale e reale – Osservazioni a margine del problema della determinazione dell’individuale-concreto


La tradizione classica vuole che dell’individuale non si dia scienza.

Ciascuna concrezione individuale appare contrassegnata da una quantità di connotazioni accidentali, contingenti, che sfuggono alla possibilità di una normatività esaustiva. Di conseguenza, si è consuetamente ritenuto sensato che la scienza si occupi del generico (o specifico), ossia del categoriale, di ciò che ha una sua forma (e quindi uno statuto legale) in linea di principio esaustivamente definibile.

La costituzione teorica razionale-astrattiva, per quanto saturabile di contenuti reali mediante determinazione delle variabili empiriche delle strutture formali, soggiace comunque alla limitazione della irraggiungibilità del concreto.

In questa prospettiva, H. Weyl parla di una genericità intrinseca alla scienza, che non può giungere mai all’individualità fenomenica: i suoi oggetti concreti restano indeterminati, o meglio, sono determinati “a meno di un isomorfismo” (1). E gli isomorfismi non sono altro che identità strutturali (di natura formale) tra eventi o processi potenzialmente del tutto differenti, per quanto concerne i corrispettivi contenuti materiali.

Individuale materiale e individuale formale

Il problema della determinazione del concreto-reale, ossia di ciò che è per principio individuale, non è connesso solo alla complessità della contingenza, ossia non affonda le sue radici solo nel momento materiale, bensì si presenta già nel momento formale.

In geometria, l’inafferrabilità del particolare-reale, dell’individuale, si è affacciata all’origine della cultura occidentale con la scoperta dell’incommensurabilità, una scoperta che fece peraltro vacillare la fiducia nell’idea stessa di razionalità.

L’irrazionalità dell’individuale-formale, in ambito matematico o geometrico, si esprime nella non-finitezza della sua determinazione numerica.

Del tutto correlativamente – in ambito materiale – la costituzione fenomenologica dell’individuale percettivo si realizza attraverso un infinito e inesauribile processo di avvicinamento all’oggettualità trascendente, un processo-limite chiamato adombramento (Abschattung) (2).

Da questo ordine di riflessioni emerge, in una prospettiva più generale, l’inafferrabilità di principio della determinazione individuale mediante un numero finito di determinazioni razionali (irrazionalità del reale)

Secondo A. N. Whitehead (3), ciascuna “occasione reale” (ossia ciascun oggetto o evento concreto) include una “gerarchia astrattiva infinita di oggetti eterni” (ove con “oggetti eterni” sono da intendersi le unità concettuali). Quando invece la gerarchia astrattiva è finita, si tratta di “inclusione parziale”, e pertanto di eventi mentali, e non reali (ricordi, immaginazioni, idee, ecc.).

Un altro modo di significare che solo gli enti irreali, costruibili e immanenti, sono esaustivamente definibili mediante una serie finita di determinazioni. Una proprietà, questa, che può essere vista anche come criterio per una distinzione fenomenologica tra configurazioni reali (trascendenti la coscienza) e configurazioni ideali (immanenti).

I numeri irrazionali trascendenti: numeri che sfuggono agli algoritmi

Restringiamo ora le nostre osservazioni alla determinazione formale dell’individuale.

Il genio della lingua matematica rispecchia lo stato delle cose sopra accennato fino nella semantica della teoria dei numeri reali.

I cosiddetti numeri razionali sono i numeri interi o quelli esprimibili come rapporti tra numeri interi.

Vi sono poi i numeri irrazionali (algebrici), che presentano una irrazionalità – diciamo così – di primo livello, in quanto si tratta di numeri che, seppure non esprimibili mediante rapporti di numeri interi, sono però esprimibili come radici di equazioni algebriche.

I razionali e gli irrazionali algebrici sono entrambi costruibili secondo algoritmo generativo, e pertanto è possibile stabilire un criterio affinché siano posti in correlazione biunivoca. Georg Cantor dimostrò (4) che l’insieme dei numeri razionali e quello dei numeri irrazionali algebrici (che parrebbero molto “di più”) hanno la medesima potenza: la prima potenza infinita, ossia quella del numerabile, una potenza, cioè, gerarchicamente inferiore alla potenza del continuo.

In altre parole, né l’infinita discrezione degli interi, né l’infinita densità dei razionali e degli irrazionali algebrici sono in grado di riempire tutti i “buchi” della retta reale, ossia non sono in grado di costituire la continuità, che è infinitamente più coesa.

La classe numerica che dà coesione e compattezza alla continuità della retta numerica reale è quella dei numeri irrazionali trascendenti (ossia i numeri che trascendono l’algebra). Si tratta di numeri che non possono essere espressi come radici di equazioni algebriche a coefficienti reali. Immaginativamente, possiamo vedere gli infiniti numeri interi, razionali e irrazionali algebrici, come isole sporadiche e trascurabili nell’oceano della continuità dei trascendenti.

E il curioso è che questi numeri trascendenti, che costituiscono l’infinita maggioranza dei numeri reali, non sono sistematicamente costruibili secondo alcun algoritmo generativo meccanico. Anzi, se ne conoscono relativamente pochi individui (e, π, e i loro composti) e alcune sporadiche specie costruibili.

Del resto, trascendere l’algebra significa trascendere l’algoritmo.

Il numero reale è pertanto, nella sua assoluta generalità, un numero irrazionale trascendente. La probabilità di estrarre casualmente dalla retta reale un numero che non sia un irrazionale trascendente, è formalmente nulla. Possiamo dire quindi che il reale si identifica con l’irrazionale trascendente.

Se non esiste un algoritmo generativo dei numeri reali, esiste però un principio determinativo generale, per quanto non-costruttivo, un principio ideale dato in forma definitoria e non algoritmica. Nell’analisi matematica della retta reale, il numero reale, ossia l’individuo generico, si identifica con il limite di successioni convergenti di numeri razionali (definizione di Cantor). Tra l’altro, nella visione cantoriana, la successione stessa, intesa come individualità attualmente infinita, è da vedersi come il numero reale, mentre l’identificazione del suo valore con il limite della successione, è una conseguenza, ossia un teorema (5).

Irrazionalità, non-costruibilità e non-riproducibilità del reale: ambiguità del concetto di virtuale

Dalle circostanze qui brevemente esposte, derivano alcune considerazioni di carattere significativo generale, almeno in ambito formale.

La prima e fondamentale è che l’individuale-reale è per essenza irrazionale, ossia non è esaustivamente determinabile mediante un numero finito di determinazioni finite (razionali).

In secondo luogo, la trascendenza esprime la circostanza che esso non è, nella generalità, costruibile. Abbiamo detto che trascendere l’algebra significa trascendere l’algoritmo. Ciò significa che la determinazione individuale non è – in linea di principio – raggiungibile da algoritmo.

In sintesi, l’individuale, nella sua costituzione formale, si mostra come una attualità infinita, irrazionale e trascendente la costruibilità algoritmica.

Un altro genere di considerazioni riguarda la circostanza che la determinazione formale dell’individuale-reale non riguarda unicamente la data individualità in questione, ma coinvolge per principio un insieme infinito di altre entità individuali particolari (razionali). Queste entità razionali, per quanto “oasi sporadiche nell’oceano della continuità trascendente”, sono pur esse infinite e densamente (inestricabilmente) connesse con la compattezza del reale. Ciò significa che la determinazione formale dell’individuo reale non è – in linea di principio – estrapolabile dal contesto d’ordine in cui esso è inserito, ma è inestricabilmente connessa con la totalità attualmente infinita dell’ordinamento reale. In altre parole, la determinazione dell’individuale-reale non può considerarsi avulsa dalla comprensione dell’infinita compattezza e connessione della contingenza reale e della gerarchia astrattiva razionale in esso inclusa.

Tutte queste considerazioni convergono all’evidenza che i procedimenti di simulazione e modellazione algoritmica – cosi come i procedimenti costruttivi in generale – non possono giungere, per principio, alla concretezza trascendente della determinazione reale-individuale.

La constatazione della trascendenza del reale rispetto la computabilità logica è contenuta già nel principio di ragion sufficiente di Leibniz. Così come il suo principio degli indiscernibili esclude la possibilità formale di eguaglianza numerica tra configurazioni reali.

L’individuale-reale non è, per principio, né computabile né riproducibile.

Nel dibattito odierno la dualità reale-virtuale, sostanzialmente fattuale, pare predominante rispetto alle distinzioni categoriali classiche.

L’odierna accezione di virtuale mutua il termine dalla tradizione meccanica dell’età illuministica.

Nel principio dei lavori virtuali di D’Alembert (6), con virtuali si intendono gli spostamenti o le deformazioni (di un sistema materiale rigido o elastico) infinitesime e compatibili con i vincoli al contorno. Da questo principio si evince infine che la configurazione reale è, di caso in caso, una sola e unica composizione – tra quelle potenzialmente infinite – di equilibrio e di congruenza. Il calcolo variazionale si mostrava allora come lo strumento analitico privilegiato per la determinazione della configurazione effettuale entro l’infinito ventaglio della potenzialità.

Con virtualità si intende dunque, originariamente, una categoria modale, e precisamente il potenzialmente reale. Evidentemente oggi il termine mostra una traslazione di senso, circostanza che porta con sé le inevitabili zone di ambiguità.

Oltre l’obiettivismo

Forse oggi soffriamo l’assenza di una consuetudine all’analisi categoriale, che nell’ontologia critica della prima metà del ‘900 aveva raggiunto elevati livelli di raffinatezza.

Probabilmente, per certi argomenti altamente problematici, quali la riproducibilità, la modellabilità, la simulabilità e la computabilità del concreto, così come – a monte – per i problemi concernenti la conoscenza formale in-genere (ossia quella non semplicemente empirico-percettiva), potrebbe essere adeguato e fruttuoso non limitarsi a procedimenti di tipo dimostrativo-computazionale.

Godel, in uno dei suoi ultimi scritti (7), invitava i giovani e i futuri ricercatori a trovare la via d’uscita dai paradossi, dalle indecidibilità e dalle oscurità delle teorie formali, non tanto in progressivi ampliamenti metateorici o complessificazioni computazionali, quanto piuttosto in un rigoroso lavoro immanente di chiarificazione e di elaborazione dei significati fondanti.

Il problema dell’obiettivismo, denunciato programmaticamente nella Crisi di Husserl (8), non si presenta solo nelle scienze empiriche, ma, del tutto coerentemente, anche nelle scienze logiche e matematiche, ossia nelle discipline formali.

Più precisamente, l’obiettivismo si mostra in queste ultime sotto forma del primato della computazione e della dimostrazione formale, ossia di procedimenti che possiamo anche chiamare – oggi – artificiali, in quanto per principio avulsi da ogni riferimento all’intenzionalità.

E in questa prospettiva la distinzione procedurale-intenzionale è ben più fondativa di quella (fattuale) artificiale-naturale.

Ma qui si apre evidentemente un altro orizzonte di tematiche.

 

 

Riferimenti bibliografici

(1) Weyl, Filosofia della matematica e delle scienze naturali, 1949

(2) Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Vol. 1, 1913.

(3) N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, 1925

(4) Cantor, Su una proprietà dell’insieme di tutti i numeri reali algebrici, 1874

(5) Cantor, Fondamenti di una teoria generale delle molteplicità, § 9, 1883

(6) B. Le Ronde d’Alembert, Traité de dynamique, 1743

(7) Gödel, Il moderno sviluppo dei fondamenti della matematica alla luce della filosofia, 1961

(8) Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, 1938



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