Dio è nascosto. L’emancipazione di Homo “sacer” – Seconda parte


IL CONCETTO DI “INFORMALE” E QUELLO DI “INtangibile”

L’ultima volta abbiamo iniziato a esplorare la sopravvivenza del sacro nel mondo secolare, che erroneamente immagina che sia uscito dagli esempi più antichi di Homo sapiens. Certamente il lettore di STS è guidato dai protocolli congiunti di ragione, scienza e tecnologia, ai quali l’essere più sacro è la memoria infantile legata all’educazione scolastica e familiare. Se in lui vive ancora una natura religiosa, è quella dell’agnostico. Tuttavia, questo episodio della serie è dedicato a chiunque, pur professandosi ateo o agnostico, è convinto che un mondo “immateriale” coesista con quello materiale, mostrando così come il sacro permea ancora la sua concezione del mondo.

Per sconfiggere questa forma residua di superstizione, certamente meno grave di quella religiosa ma altrettanto diffusa, cominciamo dall’esame dell’uso linguistico del termine “immateriale”. Non è un caso che sia un aggettivo, si pensi a frasi come “corpo immateriale”, “patrimonio immateriale”, “cultura immateriale”, ecc. Senza un’applicazione tangibile, non avrebbe motivo di esistere. Il nome a cui il lemma parassita non fa occasionalmente riferimento “In-entità”, ma a un’entità vampirizzata. Se l’intenzione del concetto rimanda a entità inconsistenti che in realtà non esistono, la sua estensione rimanda a espressioni linguistiche versatili al servizio di utenti convinti che esistano due mondi. “Immateriale” è un concetto nato da una superstizione dualistica, che a sua volta è debitrice al sacro. Se non è il caso di espellerlo dal vocabolario dei linguaggi umani, pena la povertà mondiale, va certamente bandito dall’orizzonte epistemologico.

Si dovrebbe invece utilizzare il concetto di “immateriale”, quindi “ente immateriale”, “patrimonio immateriale”, “cultura immateriale”, ecc. L’equivoco che si insinua tra i due concetti non nasce solo dalla sfera sacra e da concetti filosofici superati, ma anche dall’insieme di presupposti materiali che ne sono alla base. La natura eterogenea del mesocosmo terrestre deve essere chiamata al banco degli imputati, dove immagini, suoni e odori si diffondono attraverso un’atmosfera sottile e una debole forza gravitazionale. Ciò che comunemente viene considerato “immateriale” è una rete di relazioni materiali a bassa densità, alla quale partecipa la coscienza. Ci sembra che la nostra sgradevole soggettività abiti un corpo gettato in un mondo che si combatte a sua volta tra spirito e materia, una superstizione tanto onnipresente quanto innata.

Alcuni obietteranno che traspare la materialità controintuitiva dell’aria, delle immagini, dei suoni e degli odori. Ma le emozioni, i sentimenti, le idee e la cultura non possono essere identificati con nessun supporto materiale. Per eliminare ogni residuo di spiritualismo è sufficiente applicare il concetto di intangibile a tutti gli ambiti del mondo spirituale. Prendiamo la più impossibile delle entità, la mente. In lontananza polemica con il dualismo cartesiano, oggi si parla appropriatamente di “mente estesa” (CLARK-CHALMERS 1998), nel contesto della filosofia analitica e, con qualche resistenza, nel contesto della filosofia dell’Europa continentale. Se l’estensione non è uniforme nello spazio e nel tempo, se una mente estesa è situata diversamente, allora dadi-posizione. Consiste in un processo puramente materiale che evolve da corpo mentale a corpo mentale, depositandosi all’occorrenza su supporti inerti in attesa di essere animati.. Nelle culture alfabetizzate, ad esempio, si basa sui diversi media che ci hanno insegnato a leggere queste righe e che, insieme al resto, si sono depositati in noi come informazioni elettrochimiche, non prima di aver colpito i sensi attraverso luci, suoni, odori. , sensi. generalmente. Oltre a questo c’è la voce che enuncia i significati prima di imparare a calmarli nella mente o a trascriverli in un mezzo, che richiede l’espansione delle corde vocali. Non stiamo parlando dell’esperienza di vita che la voce plasma. Viene messo in discussione l’intero processo che porta a ciò che otteniamo, che non è altro che la nostra mente estesa. Ciò contribuisce a farle credere di non avere quel corpo materiale che in realtà non ha, perché ne ha molti in relazione tra loro. Tra questi, i significati, le idee e la cultura da cui la mente trae conferma, sono tutti necessariamente materiali.

Chi, leggendo queste righe, si è convinto che il monismo materialista sia una cosa buona e giusta, dovrebbe provare a ripensare ad una sola entità immateriale: non potrà più farlo. La sua nuova fede implica l’abbandono di altri tre concetti non necessari: riduzionismo, panpsichismo e creazione intelligente. Solo la concezione emergente di un mondo causale autonomo può portare al monismo materiale (vedi ZHOK 2011). Assegnare il pensiero creativo alla sostanza universale è riportare la divinità espulsa dalla porta attraverso la finestra, come la Pimpa che anima gli esseri applicando loro un paio di occhi. Sovrapporli agli oggetti quotidiani, ai feticci della teologia o all’universo non fa differenza, se a sovrapporre è il creatore. In termini di riduzionismo, coloro che pretendono di ridurre le entità ai loro costituenti sono in aperta contraddizione quando esse stesse non vengono ridotte. In un mondo composito, a densità variabile e caratterizzato da istituzioni spazio-temporali relativamente intra/dipendenti, non è chiaro a quale livello si trovi la legittimità. Considerare il microcosmo come il livello più autentico significa perdere di vista non solo il mesocosmo terrestre e coloro che lo abitano, ma anche il macrocosmo. La danza delle galassie richiede anche il vuoto come pista da ballo, il che non è irrilevante, è vuoto e basta.

Insomma, Dio è morto, sembra che anche Marx e anche l’irrilevante debbano lasciarci.

NOTA

Clark, A. – Chalmers, D., La mente estesa, Analizzare58.1, gennaio 1998, pp 7-19.

Zhuk, A., Emergenza. Proprietà emergenti della materia e spazio ontologico della coscienza nella meditazione contemporaneaETS, 2011

  • Laureato in scienze filosofiche all’Università di Padova, si definisce un potenziale realista. Per lui la verità, in filosofia come nelle scienze, è questione di prospettive vincenti, anche di quelle inizialmente considerate inferiori o rivelatesi alla lunga perdenti. Ama riflettere sull’epistemologia mentre pedala sulla Martesana.

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