1. DISCORSO SU SPECIE ED EVOLUZIONE
I concetti di selezione, evoluzione e conservazione delle specie derivano dalla formulazione fatta da C. Darwin nel 1872[1]nel linguaggio corrente e scientifico ma, talvolta, vengono utilizzati a sproposito, distorcendone il significato originario.
Una distorsione frequente dell’idea darwiniana è che, secondo la selezione e l’evoluzione, si tratta di soggetti che agiscono con l’obiettivo di migliorare la specie per renderla più resistente e adeguata al contesto in cui vive.
Ad esempio, Donald Hoffmann[2]stimato scienziato americano, nel suo libro sulla percezione e conoscenza della realtà, L’illusione della realtà: come l’evoluzione ci inganna riguardo al mondo che vediamo (Bollati Boringhieri, 2020) sostiene che noi e gli altri animali percepiamo la realtà in modo distorto, vediamo[3] cosa dobbiamo vedere per avere maggiori possibilità di sopravvivenza e riproduzione – per continuare la nostra specie.
Costituisce un interessante punto di vista filosofico e cognitivo e ripropone – in termini e linguaggio scientifici attuali – il concetto cartesiano di “grande illusione”[4]perfezionandolo e arricchendolo con esempi divertenti ed emozionanti. È plausibile pensare che in alcune occasioni percepiamo[5] le cose in modo tale da avvisarci dei pericoli, che ci indirizziamo subito, senza ragionare, verso comportamenti che aumentino la nostra capacità di sopravvivere, che ci nutriamo con cibi che ci diano più energia se dobbiamo sforzarci o sforzarci, e così via, che la nostra cognizione viene modulata in modo tale da garantire il massimo risultato.
Tuttavia, Hoffman suggerisce che, nel mezzo di questa netta distorsione, esattamente ilevoluzione[6] agire come soggetto, illudersi per garantire la sopravvivenza del singolo individuo e la conservazione, continuità e progressivo miglioramento delle sue specie attraverso la riproduzione.
In questa visione il specie che si tratta di un oggetto coerente, con confini ben definiti, in cui vengono attribuite categorie di animali con caratteri omogenei, in cui tali animali potrebbero essere identificati; e, ilevoluzione con il carattere di un oggetto, agendo con uno scopo, riconoscendo la specie, i suoi punti di forza e di debolezza e dirigendone i meccanismi di adattamento.
Questa concezione, ancora, si ritrova in alcuni piani ecologici e ambientali, dove il specie è oggettivo ed elevato a valore da custodire, il natura è un soggetto che opera, ilevoluzioneancora una volta, è un argomento e ha uno scopo, ovvero perfezionare e preservare il specie.[7]
2. DARWIN NON SAREBBE D’ACCORDO
La prima sorpresa, per chi legge il saggio di C. Darwin sull’origine e selezione delle specie, è che egli – a tutti gli effetti – usi il termine specie e lo fa “come se” la specie fosse un unicum coerente e ben definito ma – allo stesso tempo – avverte espressamente del fatto che usa
«il termine specie come applicato arbitrariamente, per ragioni di convenienza, a gruppi di individui molto simili tra loro, e non molto diversi dal termine varietà, che si riferisce a forme meno distinte e più diverse. Anche il termine diversità, inteso in termini di semplici differenze individuali, viene applicato arbitrariamente, per comodità.» (Darwin C., Origine delle specie2019, Bollati Boringhieri)
Può essere più sorprendente che Darwin non abbia affatto inteso la “selezione naturale”, la “lotta per l’esistenza”, l'”evoluzione”, la “natura” come soggetti dell’azione ma, al contrario, come “un’azione collettiva e il risultato di numerose leggi[8]» (Cit., p. 154), e scrive «nel senso letterale della parola, il termine selezione naturale si sbaglia» (Cit., p. 154), considerandola un’espressione metaforica (vedi ibidem):
«Si può dire, metaforicamente, che la selezione naturale scruta, giorno per giorno e ora per ora, le più piccole variazioni nel mondo, eliminando ciò che è male, trattenendo e aggiungendo tutto ciò che è buono.» (Cit. pag. 157).
Allo stesso modo Darwin (cit. p. 154) rileva che per alcuniil termine selezione naturale implica una scelta consapevole da parte degli animali che vengono modificati», sottolinea il senso metaforico di questa espressione e – di fatto – anticipa un’interpretazione che diventerà attuale, ovvero la personificazione di forze selettive.
E quando (cit., p. 157), il del metaforicamente scegli come soggetto
«silenziosamente e impercettibilmente opera ogni volta e ovunque si offra l’opportunità di perfezionare ogni essere vivente in relazione alle sue condizioni di vita organiche e inorganiche»,
evidenzia che il fenomeno selettivo è legato al miglioramento delle capacità di sopravvivenza dell’individuo nel contesto in cui vive.
In sintesi, appare chiaro che – nell’originaria accezione darwiniana – la specie non è né un soggetto né un oggetto coerente e definito, e che la selezione, l’evoluzione e la conservazione delle specie non sono soggetti attivi ma processi derivanti dalle condizioni di vita. e – in definitiva – fenomeni guidati dal caso, dal contesto e senza finalità
«si può dire che le condizioni di vita non solo causano variabilità, direttamente o indirettamente, ma coinvolgono anche la selezione naturale, poiché le condizioni determinano se questa o quella varietà sopravviverà» (cit., p. 203).
Il ruolo del caso nel processo evolutivo può essere chiarito con questo esempio: tra due individui qualsiasi, quello che meglio si adatta all’ambiente in cui si trova – cioè quello che è più sviluppato, durante la sua breve vita , le competenze e le abilità più efficaci per quell’ambiente – più probabilità dell’altro di vivere abbastanza a lungo; vivendo abbastanza a lungo è anche più probabile avere rapporti con individui che hanno sviluppato tante caratteristiche adatte all’ambiente, se, a casoli incontra.
Grazie a questa possibilità di lunga vita e alle opportunità di rapporti sessuali, questo individuo ha maggiori probabilità di riprodursi e il neonato ha (o almeno potrebbe avere) le stesse caratteristiche di idoneità all’ambiente dei suoi genitori.
Allo stesso modo, si può offrire una riflessione sulla presenza di organi sessuali complementari che, per chi pensa a meccanismi finali della selezione, sono “dedicati” all’accoppiamento a fini riproduttivi: proviamo a realizzare un esperimento mentale ambientato nelle nebbie . di tempo, dove ipotizziamo un gruppo di 40 individui della stessa varietà, di cui 10 senza genitali, 10 con genitali senza capacità di riprodursi, 10 con genitali con capacità riproduttiva e forma complementare e 10 con genitali con capacità di riprodursi riprodursi ma con una forma incompatibile, dopo qualche anno che tipo di individui otterremo? Certamente quelli che – per caso – sono nati con organi sessuali complementari e che – sempre per caso – si sono incontrati.
In breve: in un grande gruppo di individui diversi, coloro che, a casosono più adattabili al contesto hanno maggiori possibilità di vivere a lungo e riprodursi. La prossima generazione vedrà più individui con quelle caratteristiche di adeguatezza e meno quelli meno adeguati. E, dopo qualche generazione, troveremo solo individui del tipo “più adeguato”.[9]
3. LA SELEZIONE NON È TELELOGICA E LA SPECIE NON ESISTE
Quando parliamo di selezione, evoluzione e conservazione delle specie è opportuno ricordare che questi concetti non sono personificazioni e suggestioni finali, che sono metafore per rappresentare il risultato di eventi casuali che gli individui che si trovavano al posto giusto, riguardo a loro . momento giusto e con le caratteristiche giuste sopravvissero più a lungo e ebbero la possibilità di produrre discendenti.
Al contrario, dedicarsi alla personalizzazione di questi concetti corre il rischio di distorsioni socialmente pericolose, come, ad esempio, giustificare la “legge del più forte” e l’uso di selezionare naturale legittimare la natura naturale della discriminazione sociale, sessuale e razziale.
Allo stesso modo, considera il specie come oggetti internamente coerenti o – anche – come testi, può essere la base di ragionamenti su specie pericolose o aspetti ecologici i cui risultati sono discutibili, come inviare nuovamente[10] di una varietà di animali in un territorio, oppure – ne ho già scritto recentemente – l’uccisione di un grande carnivoro “problematico” è moralmente accettabile a causa di tale morte non influisce su conservazione dal specie nel territorio in cui vive.
NOTA
[1] L’edizione di Sull’origine delle specie per selezione naturale o sulla preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita quella che C. Darwin considerò definitiva è la sesta, pubblicata – appunto – nel 1872
[2] Cfr. Wikipedia – Donald Hoffman
[3] E noi udiamo, odoriamo, sostanzialmente percepiamo con i sensi
[4] Secondo Cartesio l’immagine della realtà esterna offerta dai sensi alla mente potrebbe essere del tutto illusoria, con scarsa attinenza con la realtà così com’è; l’unica garanzia che abbiamo che questa percezione è una vera menzogna è Dio, che non ci inganna, che è il garante della verità della percezione.
[5] Utilizzo qui il “noi” esteso a tutte le specie di animali senzienti, dotati di sensi e di percezione.
[6] Utilizzo evoluzione e specie in corsivo per sottolineare l’argomento
[7] Di questo – e delle distorsioni morali sul tema delle specie – parlerò in un prossimo articolo
[8] Per C. Darwin, molto nell’onda humiana, le leggi sono «la sequenza di fatti da noi percepiti» (Cit. p. 154)
[9] Se proprio ne vogliamo parlare specie come oggetto coerente, è meglio evitare di dire “la specie ha sviluppato quelle caratteristiche” e – invece – dire “la specie ha acquisito da sé quelle caratteristiche” come risultato di storie individuali di individui che, individualmente, hanno sviluppato quelle caratteristiche; dire: la specie “è” quelle caratteristiche. Questo perché la “specie” non esiste. Allo stesso modo, la “selezione” non opera, l’“evoluzione” non seleziona; non fanno nulla perché non esistono, non sono soggetti agenti, sono solo fenomeni accaduti. In questo modo ci salviamo dall’incomprensione teleologica definitiva dell’evoluzione.
[10] A breve un articolo sullo scetticismo, sia scientifico che morale, nei confronti della reintroduzione dell’orso bruno in Trentino