Franco Basaglia e la legge 180: frammenti di scenario sociale e politico


Franco Basaglia nasce a Venezia nel 1924, un anno e mezzo dopo la presa del potere fascista.

Cresce e studia tra il regime fascista e la Seconda Guerra Mondiale. Conseguì la maturità classica nel 1943; poi, si iscrisse a Medicina a Padova, dove svolse anche un’attività antifascista, che portò al suo arresto nel dicembre 1944. Rimase in carcere fino all’aprile 1945, alla fine della guerra.

Nel 1949 si laureò in medicina e iniziò la pratica clinica nel reparto di malattie nervose e mentali di Padova, studiando con Roberto Belloni, pioniere della neurofisiologia clinica, della neurochimica applicata e della neuroradiologia, fondamento diagnostico delle neuroscienze cliniche padovane.

Durante gli anni universitari e la pratica clinica si dedicò anche agli studi filosofici, all’esistenzialismo di Sartre e alla psichiatria fenomenologica di L. Binswanger.

Nel 1953 si specializzò in malattie nervose e mentali e sposò Franca Ongaro, la quale – contrariamente a quanto spesso si pensa – non era un medico, né una psicologa, ma una scrittrice. Lavora con lei per tutta la vita.

Dal 1953 al 1961, assistente di Belloni a Padova, si dedicò alla ricerca e alla pratica clinica, come; nel 1958 conseguì l’abilitazione all’insegnamento in psichiatria.

Il 1961 fu l’anno della svolta: Franco Basaglia iniziò la rivoluzionaria opera di gestione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia.

Tra il 1961 e il 1970 visita una comunità terapeutica di Maxwell Jones in Scozia e le esperienze di apertura francesi. Nel 1967 ha curato il volume Cos’è la psichiatria? e nel 1968 L’organizzazione ha negato. Un rapporto da un ospedale psichiatricoche racconta la storia di Gorizia.

Tra il 1970 e il 1971 diresse – per un breve periodo – la struttura psichiatrica di Colorno, nel parmense e, nel 1971, accettò la direzione dell’ospedale psichiatrico di Trieste, un’enorme struttura che sorge sulla collina di San Giovanni e ospita 1182 pazienti di cui 840 sottoposti a provvedimento obbligatorio.

Trieste è il luogo dove attua, in modo ampio e completo, il suo metodo di normalizzazione della malattia mentale e di apertura dell’ospedale psichiatrico alla città e della città all’ospedale psichiatrico.

Nel 1973 ha fondato l’Associazione Italiana di Psichiatria Democratica; nello stesso anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconobbe Trieste come area pilota per la ricerca sui servizi di salute mentale.

Il 1978 è l’anno che il suo metodo si configura in termini istituzionali con l’approvazione della legge 13 maggio 1978, n. 180 – Legge Orsini, detta quasi sempre Legge Basaglia – che abroga quasi integralmente la legge 14 febbraio 1904, n.36 e che impone la chiusura dei manicomi, regola il trattamento sanitario obbligatorio e istituisce servizi di igiene mentale pubblici.

Nel 1980 Franco Basaglia accetta l’incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio, dove può attuare il modello di psichiatria aperta e territoriale ma, colpito da un tumore, muore in agosto, all’età di 56 anni.

Estratti dal CONTESTO SOCIALE ED ECONOMICO

Per comprendere “dove e come” è nato e si è sviluppato il pensiero e l’opera di Franco Basaglia e dei suoi colleghi, abbiamo cercato di isolare alcuni spezzoni di contesto che esemplificano lo stile di pensiero che ha accompagnato questa evoluzione.

DISPOSIZIONE N.1 – IL REGIME FASCISTA

Franco Basaglia studiò tra il fascismo e la seconda guerra mondiale e fu incarcerato per alcuni mesi tra il 1944 e il 1945 per attività antifascista. È questo il periodo in cui gli eccessi fascisti e nazisti, le leggi razziali e l’oppressione politica stimolano il desiderio di libertà. Durante il regime fascista furono negate le libertà fondamentali di parola, di movimento, di istruzione e di professione e il manicomio fu utilizzato – più che in passato – come strumento politico per limitare, non solo i cosiddetti deviazione sociale e mentale, ma anche l’opposizione politica.

Un caso emblematico è «Giuseppe Massarenti, leader del movimento operaio emiliano e poi sindaco socialista di Molinella – ricordato come il Santo del socialismo italiano – fu mandato in esilio nel 1926 e da lì seguì un doloroso processo di povertà ed emarginazione che si concluse con il trasferimento alla Clinica. per malattie nervose e mentali a Roma prima e poi nel famoso ospedale psichiatrico della capitale – il Santa Maria della Pietà -. Delirio paranoico della prognosi. Classico(Petracci M., I folli della duchessa. Asilo e repressione politica nell’Italia fascista2014, Donzelli, XVIII, pag. 238).

Durante il regime di Mussolini il numero dei detenuti psichiatrici quasi raddoppiò rispetto ai decenni precedenti, i manicomi italiani passarono da 55mila (dati 1920) a 95mila persone (dati 1941)[1]

DISPOSIZIONE N. 2 – L’IMMEDIATO DOPOGUERRA

Il periodo degli studi di laurea e di specializzazione va dalla fine della guerra all’inizio degli anni ’60. Sono gli anni della prosperità economica, della scoperta del welfare, in Italia, per tutti (quasi) dalla condanna a miserie come quelle dei Sassi di Matera (la visita di P. Togliatti a Matera risale al 1948). ), dalla conferma di una nuova economia industriale – dalla Fiat che “importa” manodopera dal Sud del Paese, dalla “fabbrica aperta” di Adriano Olivetti; sono anni in cui – sollevata dalla tirannia del regime, dalle sventure della guerra e dalla miseria delle difficoltà economiche – la società italiana può pensare anche a cose marginali: i pazzi e i malati di mente, per esempio, i modi forzati che hanno trattarli.

Nel 1957 Sergio Zavoli realizza il documentario radiofonico Chiusura all’interno del monastero di clausura delle carmelitane scalze e – intervistando padre Rotondi, cita Pio XII che nell’enciclica Sponsa Christi definì non più tollerabili certi disagi in cui vivono le monache di clausura.

Questo atteggiamento – però – non sembra colpire la facoltà medica e – soprattutto – l’istituzione patavina malattie nervose, ad es mentale, diretto da Belloni, che era «intriso di positivismo scientifico e lombrosiano […] fedele alla tesi organica che vede la malattia mentale come il risultato di difetti biologici intrinseci”.

Negli stessi anni fenomenologia ed esistenzialismo dominano la scena filosofica e si spingono nel perimetro della psicologia, della medicina e della psichiatria.

LETTURA #3: GLI ANNI ’60, FINO AL 1968

Il periodo in cui Basaglia diresse l’ospedale psichiatrico di Trieste, tra il 1961 e il 1970, fu lo stesso periodo in cui maturarono le istanze che avrebbero portato alla “rivoluzione” del 1968.

Si tratta di un vero e proprio tentativo di invertire il paradigma sociale, dove la tradizione e la conservazione dei valori borghesi della fine del XIX secolo e anche del primo dopoguerra – gli stessi valori della ricerca del benessere economico che privilegiavano l’attenzione ai marginali – vengono messi in crisi.

Saranno questi gli anni di cui parleremo, scriveremo, canteremo e grideremo – nelle manifestazioni e nei momenti di lotta – fantasia al poterelibertà da ogni restrizione: culturale, sociale, sessuale.

Fu nel 1968 che il ministro della Sanità Luigi Mariotti firmò la legge di riforma psichiatrica che porta il suo nome e che abolì l’obbligo di iscrizione nel casellario giudiziale e prevedeva la possibilità di ricovero volontario e si realizzano Centri di salute mentale con équipe multiprofessionali. . da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali [2]

Sono gli anni in cui inizia la fine del boom economico e – sulla scia del liberalismo del ’68 – lo scoppio delle rivendicazioni economiche e sociali degli operai che pretendono di essere sostenute da folti gruppi di studenti liceali e universitari.

Nel 1968 Zavoli “entrò” nuovamente nel manicomio di Gorizia documentando con le telecamere di TV7

LETTURA #4: DAL 1968 AL 1978

Negli anni tra il 1968 e la pubblicazione della legge 180 si verificarono eventi che possono essere ricordati come elementi rilevanti per la formazione del pensiero di Basaglia e del suo gruppo di colleghi pensatori, per il favore che questo pensiero poté trovare nella società e nella politica. contesto.

È questa – ad esempio – la crescita dei consensi del Partito Comunista Italiano, che raggiunse nel 1976 il 34% delle preferenze, guadagnando quasi 10 punti percentuali e 5 milioni di voti rispetto al 1963, a soli 4 punti dalla Democrazia Cristiana.

Si tratta anche del tentativo di invertire lo schema di contrapposizione partitica tra SD e PCI, che aveva dominato fino ad allora, attraverso una formula compromesso storico che ha preso forma per la prima volta governo di unità nazionale (1976), guidato da Andreotti, e nell’ipotesi dell’ingresso del Partito Comunista nella successiva squadra di governo, studiata da Enrico Berlinguer e Aldo Moro e sostenuta da Zaccagnini. Si stabilì lo storico compromesso nel 1978 con il rapimento e la successiva uccisione di Aldo Moro.

Sono anche gli anni del sindacalismo, dalla pubblicazione della Legge 20 maggio 1970, n. Si chiama 300 Lo Statuto dei Lavoratoriche riconosce formalmente ed organicamente una serie di diritti ai lavoratori di tutti i settori, diritti che fino ad allora erano stati spesso rifiutati o ignorati, a cominciare dal diritto di opinione (art. 1 della legge cit.) e dal diritto di Assemblea Sindacale, è considerato in molti casi un atto di rammarico.

E dell’antisindacalismo: nel 1969 il comitati aziendali; Alla fine del 1970 le CdF erano già 1.374 con 22.609 rappresentanti: nel 1971 2.566 con 30.493 rappresentanti, nel 1972 un totale di 83.000 rappresentanti; Non mancano però forme di opposizione da parte di alcune frange sindacali, che vedono il comitato aziendale come un sistema di protesta ingabbiata e suggeriscono un mezzo di espressione con una base più ampia e – in alcuni casi – con modalità più aggressive.

Le assemblee furono un elemento chiave del ventennio successivo al 1960: conosciute solo come momenti di aggregazione di partiti o movimenti – spesso clandestini – divennero rapidamente uno degli strumenti più comuni per portare teoricamente la democrazia nelle fabbriche, nelle aziende, nelle scuole e nelle università; tutto si discute nell’assemblea, tutto si decide nell’assemblea, ogni leader è nominato o lodato nell’assemblea.

I servizi sono un modo per esprimere la propria opinione, per partecipare, per sentirsi liberi; La libertà è partecipazionecanta Giorgio Gaber nel 1972.

Rendere pubblica la voce di chi non è mai stato ascoltato è anche uno dei momenti chiave delle prime radio libere “impegnate”.[3]che include gli ascoltatori al telefono dal vivo.

Tra le voci che hanno conquistato il diritto di essere ascoltate – finalmente – ci sono quelle delle donne che, ad esempio, nonostante la feroce opposizione interna, hanno acquisito una crescente rilevanza all’interno dei movimenti sindacali intorno alla metà degli anni ’70; e lo fanno con assemblee e comitati femminili, non in opposizione ma paralleli a quelli ufficiali dei sindacati.

E, a Verona, nel 1976, si è svolto il primo processo per stupro in cui la vittima ha rifiutato di svolgere il ruolo passivo di “oggetto” della violenza sessuale per diventare “soggetto” di un’accusa che andava oltre i suoi stupratori, spiegando come la sua “personale ” La storia è in realtà “politica”. In aula la ragazza è supportata dalla presenza di un coordinamento di gruppi femministi e la sua voce – che non viene più messa a tacere come in casi simili – viene ascoltata in una dimensione pubblica, grazie all’attenzione dei media e della televisione più tradizionale, che ne fa un documentario trasmesso in prima serata alla fine di ottobre dello stesso anno.

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In questo scenario o meglio in questa serie di scenari sociali e politici – delineati in pochi paragrafi certamente privi di molta “storia” – si colloca l’esperienza e la rivoluzione di Franco Basaglia, Franca Ongaro, Giovanni Jervis e dei loro colleghi. .

Idee ed esperienze che attingono anche a quella che Pasolini chiamava – e non a torto – “ebbrezza di astrazione teorica” ​​ma che certamente hanno segnato la trasformazione della società italiana dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta.

NOTA

[1] Cfr. Petracci M., cit.

[2] Reggio Emilia fu in prima linea nel rilanciare l’esperienza territoriale e nel 1968 la Provincia aprì i primi Centri di Salute Mentale, affidati dal 1969 a Giovanni Jervis, psichiatra che lavorò con Basaglia a Gorizia.

[3] Cfr. F. Monteleone, Una storia della radio e della televisione in Italia, Feltrinelli, 2021



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