Epistemologia e clinica (oltre la politica) in Franco Basaglia


“Basaglia” è il nome di una rivoluzione quasi universalmente riconosciuta, anche se poco o nulla applicata fuori dall’Italia. I dibattiti sulla legge 180, sulle sue luci impossibili da spegnere, ma anche sui suoi attuali limiti, si susseguono in modo circolare. Spesso la clinica Basaglia tende ad essere messa in secondo piano dalla celebre portata politica della sua lotta e del suo gesto. Eppure c’è in esso un legame clinico e politico.

Figlio della tradizione della psichiatria fenomenologica, esistenziale, dasein-analitico, in esso sono costanti i riferimenti a pensatori considerati fondamentali fino agli anni ’60 e ’70, e oggi un po’ nell’ombra, come Sartre, Heidegger, Merlau-Ponty, Husserl, Biswanger. Scrittori politici, ciascuno a suo modo, da cui Basaglia trarrà i propri echi; corrente di Pensiero appunto, non solo puramente filosofico, tale da interessare tutti gli ambiti delle scienze cosiddette “umane”.

La psichiatria è chiaramente una scienza di frontiera, dove qualcosa di così sfuggente come un soggetto umano, rimane con uno o entrambi i piedi, all’interno dell’altra frontiera della scienza, cioè la medicina.

Medicina: conoscenza, tecnica, che unisce arte, intesa in senso ippocratico, e scienza trasferita nel quadro moderno. E così via psi dal iatria (cura), su cosa è o come è psiche per arrivare fino alla nostra “psiche” o “mente” la risposta non è definitiva.

Molto meno della sua malattia e delle sue cure. Ne consegue che teoria e pratica, epistemologia e azione sono inseparabili; quindi, il problema storico, sociologico e, in definitiva, politico non avrà mai fine.

In Un problema di psichiatria istituzionale e testi adiacenti (L’ideologia del corpo, Corpo, sguardo e silenzioecc.), è evidente l’originalità della trama che Basaglia presenta: la teoria della clinica emerge come specchio della teoria politico-critica.

Il sottotitolo è eloquente: L’esclusione come categoria socio-psichiatrica. Dal punto di vista della filosofia politica, o anche dal punto di vista socio-antropologico, la categoria degli esclusi è insita in tutte le società, e soprattutto in quelle in cui sono presenti divisioni gerarchiche.

Il capro espiatorio è il “dispositivo” (politico, sociologico, antropologico) attraverso il quale emergono le contraddizioni della società, liberando l’aggressività che implicano.

Ma il malato di mente ha una sua particolarità: è posto fuori dal dialetto. Quelli che oggi chiameremmo “gruppi marginali” hanno sempre avuto un potenziale attivo di ribellione. Il malato di mente è una figura più enigmatica: se Foucault ha voluto dare una parola alla follia, è perché non parla mai chiaramente, ed è quindi al confine con il silenzio; ma se il malato di mente è ridotto all’espressione della propria malattia, limite sempre aperto, il silenzio puro sarà la sua stessa parola.

Ecco come funziona la realtà di questa strana esclusione: ogni parola di risposta, un tentativo di dialettica, è un nuovo rinforzo, una ragione per estendere l’esclusione.

Per Basaglia tutto questo significa rientrare nella sua stessa epistemologia, cioè nel dispositivo per descrivere e poi curare e trattare la follia come malattia mentale. Vuol dire che la psichiatria può trovare le leve per dialettizzare il paziente. Le parole chiave del quasi quadro degli autori sopra citati si concentrano sulla soggettività, sulla libertà, sul corpo, sulla scelta.

Il problema centrale di questo approccio è la questione della scelta, la scelta di sé stessi come libertà e l’angoscia ad essa collegata, un’eco esistenziale, la cui principale difesa è l’esclusione. Ma non solo: l’altro a te stesso è anche il tuo “fatto”.

Il fatto di essere come un corpo, un “corpo oggettivo”, opacità, passività, nonché oggetto delle percezioni, una società con cui si è al mondo (Merleau-Ponty), di cui bisogna appropriarsi per essere soggetti di propria scelta, cioè per sottomettersi.

Anche l’opacità è, specularmente, proprietà dell’altro. Pertanto, incorporare la propria alienazione è parte dello stesso processo dell’identificazione dell’altro come qualcosa di diverso da sé. Non solo come oggetto, come “concretizzazione” dell’estraneità rifiutata, ma come luogo a sua volta della soggettività. Corpo oggettivo, ma anche – in termini husserliani – centro di un “io attivo”.

Al contrario, non attribuire la propria opacità corporea – di vulnerabilità, di materialità – all’essere oggetto del proprio corpo e dello sguardo altrui porterà alla sua esclusione nell’altro divenuto “indecente”. L’altro è incomprensibile e quindi ridotto a mero oggetto, così come a questa dinamica si è sempre ricondotti come oggetto dell’altro.

La genialità di Basaglia, nell’intreccio clinico e politico, sta qui nell’offrire una diagnosi strutturale tra nevrosi e psicosi, capisaldi freudiani, come due modi di stare al mondo con connotazioni politiche: esclusione ideologica e un’utopia psicotica. Se nel caso di Freud il conflitto centrale del primo è tra l’Io e l’Es, per l’accettazione del mondo esterno, quello del secondo è tra l’Io e il mondo esterno, per il traboccamento dell’Es, questo è il conflitto che è il risultato dell’esclusione della realtà.

Per il nevrotico questo divieto è ideologico, nel senso che non c’è una rinuncia al rapporto con l’altro, ma comunque una rinuncia alla propria contingenza, all’ansia che nasce dalla scelta di sé e dall’applicazione del proprio corpo stesso

Come risposta – o difesa – costruirà un’ideologia, un’immagine “ideale” del corpo, per controllarne l’opacità, potendo almeno identificarsi con l’altro per il quale avrà una certa donazione.

D’altronde e nel desiderio di essere accettato lo costruirà. Pagando questo a prezzo dell’agonia produce moderazione, indeterminatezza, limitazione.

L’altro è dunque mantenuto nella sua soggettività, sempre filtro ideologico che lo porta alla malafede sartriana.

Per lo psicotico, invece, il rifiuto è molto più radicale. Il risultato di questo processo non costruisce aideologiama ohutopia.

La pretesa che la realtà continui ad esplodere, reale come opacità, è così mal tollerata che è solo nel delirio – cioè in una costruzione separata dall’altro, dal “co-ordinario” – che uno psicotico potrà trovare. una qualche forma di stabilizzazione e controllo.

Ma proprio lì esiste un mondo senza limiti, sotto la costante minaccia di quell’agonia che non smetterà di tormentarlo, diventando sempre più travolgente e distruttivo con difese estreme di conseguenza.

Se qui la terminologia politica è chiara, diventa chiaro anche il problema politico dei manicomi: si aggiunge, intrecciata, la regressione psicotica con a regressione organizzativa. All’esclusione su cui agisce il malato, si aggiunge l’esclusione su cui agisce la società attraverso le mura del manicomio, non per proteggere i malati, ma i sani.

L’opacità, l’impotenza dei malati di mente, è ridotta a un pericolo sociale. Resta “indecente” (fuori scena) senza alcuna soggettività. La malattia si sovrappone quindi ad una malattia direttamente causata dall’istituto, in un circolo vizioso in cui le due diventano inseparabili, rafforzandosi a vicenda e giustificando così il sistema manicomio.

Il restringimento dell’Io – il restringimento, la chiusura della soggettività, che il paziente sta già affrontando – riflette il risultato di quella “carriera morale” che l’istituzione disciplinare sta perseguendo. L’ego è ridotto a un fantasma, un uomo privato di tutto, un uomo sacro OH musulmano di Auschwitz, seguendo la successiva concettualizzazione di Giorgio Agamben: non è un caso che vi sia un chiaro riferimento a Primo Levi.

È qui che entra in gioco una certa teoria del potere: un rifiuto dell’autorità o della giurisdizione, ma non un rifiuto del potere è molto semplice. Perché il potere contiene in sé anche uno spazio dialettico, che non si riduce al servo-padrone hegeliano.

Da questo breve excursus possiamo vedere come epistemologia, clinica e politica non siano sconnesse. Oltre all’impossibilità di liberarsi dalla contingenza, soprattutto storica, sul piano pratico, Basaglia offre un esempio originale e, si spera, non dimenticato di questo gesto di legare.



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